giovedì 19 maggio 2011

Lovecraft e gli abissi della scienza

Michel Houellebecq (1) per primo individua nell'opera di Howard P. Lovecraft una sorta di componente bellica, fatta di tecniche di assalto, logistica, regole scientifiche che, se applicate, mettono nelle mani dello scrittore nuove e inedite armi: armi nate dall'immaginazione, che facciano da antidoto sovrano contro ogni forma di realismo.
Ma perché scagliarsi contro la realtà? Lovecraft - e questa sembra una delle delle caratteristiche dello scrittore di Providence meno comprese - non attacca affatto la realtà, e non propugna nessuna puerile e sonnacchiosa rivoluzione surrealista. Anzi, per lui realtà e realismo diventano, paradossalmente, antitetici. Lovecraft considera la realtà una componente imprescindibile della propria opera, e le si consacra senza riserve. Ma come scienziato, e non come poeta o scrittore. Scrive a Rheinhart Kleiner, nel settembre del 1919: Poiché non sei riuscito a trarre soddisfazione dalla contemplazione di te stesso quale centro altamente organizzato di impressioni e sensazioni, cerca di percepirti come un granello di polvere nel mezzo dell'infinita creazione, le cui profondità nascondono vasti segreti che attendono una soluzione. C'è vita ed eccitazione nel pensiero: al posto di Lamb, Keatys, Shelley o Tennyson prova Darwin, Huxley, Tyndall, Spencer ed Haeckel. Sii uno scienziato anziché un letterato. (2)

Sii uno scienziato anziché un letterato: in questa frase si annida il seme della "rivoluzione copernicana" della letteratura, che di lì a qualche anno troverà la sua massima espressione nei grandi testi che formano il nucleo centrale dei miti di Cthulhu.
Lovecraft è il primo a sperimentare questa mutazione su se stesso. Per lui si tratta anzi di processo inevitabile. Cresciuto col sogno di diventare uno scienziato, e del tutto disinnamorato del mondo letterario e della gente che lo frequenta (come avrà modo di ribadire a F.B. Long (3)), Lovecraft non desidera affatto accedere a un mondo che vede come un decadente baraccone, e che placidamente detesta. Desidera seguire la propria strada e nulla più, senza alcuna concessione ai gusti del prossimo e alle mode letterarie. Essere un artista anziché uno scienziato sarebbe per lui un tradimento, uno svilimento. E come scienziato rifiuta categoricamente le convenzioni su cui si basano sia il genere detto "realistico", sia il racconto soprannaturale di impianto gotico o vittoriano. Questo permette di comprendere perché alcuni lettori, magari avvicinandosi a Lovecraft partendo da autori convenzionali, lo giudichino insopportabile (oltre che illeggibile e noioso): è come se costoro comprassero un libro di astrologia, smaniosi di sapere quanto noialtri umani siamo cari alle stelle, e sul più bello scoprissero di avere tra le mani un saggio di astrofisica pieno di equazioni e gelide verità.
Per questo leggere Lovecraft può anche significare venir espulsi dal mondo della letteratura. Da un lato HPL invoglia ad approfondire autori da lui giudicati dei "maestri", ma da un altro offre una nuova prospettiva che ci rende insopportabile qualsiasi testo troppo antropocentrico oppure legato alle convenzioni sentimentalistiche: e per paradosso alcuni dei "maestri" riconosciuti da Lovecraft sono proprio gli autori di trite metafore antropocentriche, perché Lovecraft argomentava sulla narrativa fantastica senza tener conto del ruolo fondamentale che avrebbe assunto nella sua evoluzione. Quindi, piuttosto che scivolare nuovamente in una prospettiva antropocentrica, meglio - una volta esaurito il corpus delle opere di Lovecraft, e dei pochi epigoni che ne hanno seriamente proseguito l'opera - dedicarsi a saggi di archeologia, fisica, biologia; meglio una storia della scienza in otto volumi, meglio - per paradosso - l'antropocentrismo del folklore, della neurologia, della storia delle religioni o della stregoneria - purché rigoroso, e non scritto dall'ultimo grottesco e surreale guru alla moda.
È come se Lovecraft invitasse a guardare il mondo da una prospettiva più alta - la vetta di un monte - rinfrescandoci con la sua brezza, calmando i nostri sensi sopraeccitati dal melodramma quotidiano, dalle facezie umane - sessuali, politiche, mondane, economiche - offrendoci una prospettiva più fredda, disillusa, ma anche più sincera, e in fondo più pacata e adulta. Come se ci mostrasse il brulicare degli esseri umani, incatenati a convenzioni che definiscono realtà, per poi rivelarci - con un cenno della mano - la realtà sconfinata che si trova tutto intorno al mondo umano: i cieli fitti di stelle, pianeti e materia oscura, gli oceani abitati da forme di vita inimmaginabili e terribili, le infinite dimensioni del tempo e dello spazio. In questo Lovecraft offre una pura e prorompente rivelazione estetica: come si può tornare - dopo aver anche solo intravisto simili abissi - ai romanzetti di fantasmi, ai pruriti sessuali delle psicomagie, ai Fielding, agli Hemingway, ai Moravia e ai Cesare Pavese senza nemmeno provare un vago senso di claustrofobia, di mutilazione e di perdita?
Sempre Houellebecq nota giustamente come in Lovecraft ci sia qualcosa di "non esattamente letterario", e come abbia fatto esplodere l'impostazione del racconto tradizionale tramite l'utilizzo sistematico di termini e concetti scientifici. Lo stesso Cthulhu è una combinazione di elettroni, proprio come noi. Il terrore di Lovecraft è rigorosamente materiale.
Eppure, questa materialità non deve far pensare a qualcosa di prosaico; Cthulhu non è materiale poiché legato alle "cose umane" come lo sono, appunto, i lamentosi spettri gotici o i ripetitivi assassini dell'horror a noi - purtroppo - contemporaneo. Cthulhu è materia - in modo puro e del tutto non-simbolico - come lo sono meteoriti, tsunami ed esplosioni vulcaniche; Cthulhu è materiale in quanto organismo e, semmai, al suo cospetto siamo noi umani a venir in qualche modo riallacciati alla nostra autentica natura (appunto organica, atomica, transitoria), senza la consolazione che Egli possa condividere i nostri valori, nemmeno per sovvertirli. Cthulhu, insomma, non è Satana. Se Cthulhu appare "sovrannaturale" è solo a causa della limitatezza dei nostri sensi e del nostro intelletto: non ci è dato conoscerlo, così come non ci è concesso di comprendere le deliranti geometrie non euclidee della sua prigione sorta dagli abissi, R'lyeh. Davanti a lui siamo impotenti come dinanzi ai misteri del cosmo insondabile.
Uno scrittore espelle i propri lettori dal mondo della letteratura (oltre che dal puerile simbolismo magico-religioso tradizionale) e gli offre in cambio la fredda, ma anche affascinante, Scienza. Li spinge alla Storia, che contrappone ai minimi patemi del singolo, e al sapere concreto contrapposto alle mille ombre e illusioni evocate dall'umanesimo. E tutto questo perché accetta la sfida di generare una nuova prospettiva esattamente come un fisico si pone di fronte a un più profondo livello di indagine della materia, e si propone di agire con intuizioni e metodologie devastanti, finendo magari per fare ciò che ha fatto Oppenheimer.
Alla domanda "cosa c'è dietro la realtà?" Lovecraft offre spiegazioni insieme grandiose e agghiaccianti. Laddove tanti altri scrittori si limitano a rassicurare il lettore con vecchie filosofie e convenzioni antropocentriche, lui offre manuali di scienza, provette e atlanti astronomici; la sua mitologia scalda la materia, sia sottraendola alla paternalistica divulgazione for dummies, sia rivelando il fondo maligno per l'uomo, ma in sé caotico e indifferente, dell'Universo. Detrattore agguerrito e preparato di ogni astrologia, teosofia, alchimia, le fa implodere semplicemente offrendo al lettore un più elevato punto di osservazione. Lovecraft le fa, si può dire, crollare sotto il peso della propria grandezza. E c'è gioia in questa distruzione. Una gioia che le vittime del crollo - orfane delle proprie zuccherose illusioni - non possono che giudicare sadica. Buffo destino per un autore che avrebbe considerato Sade umano troppo umano.
(Ivo Torello)

(1) Michel Houellebecq, Contro il mondo e contro la vita, Bompiani, 2001
(2) H.P. Lovecraft, Lettere dall'Altrove, Mondadori, 1993
(3) Ibid.

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